Sigmatismo interdentale: conosciamolo insieme!

Per sigmatismo interdentale si intende un difetto di pronuncia (dislalia) per cui la lingua, nell’articolazione del fonema /s/, si interpone tra le arcate dentarie le quali vengono mantenute lievemente scostate. Durante la realizzazione del suono, dunque, si verifica un’interferenza da parte dell’organo linguale.

Questo difetto di pronuncia (dislalia) è quasi sempre associato ad abitudini viziate, che inducono la lingua a sporgere verso l’esterno. Quando parliamo di abitudini viziate intendiamo: suzione del ciuccio, utilizzo del biberon, suzione del dito o delle guance e onicofagia. Queste abitudini, in generale, sollecitano la lingua a mantenersi tra le arcate dentarie nella posizione tipica del bambino che ancora non ha i denti, mentre succhia il latte. Se, quindi, queste abitudini viziate si perpetuano nel tempo, la lingua potrebbe mantenere tale postura errata anche dopo l’abbandono del biberon o del ciuccio.

Anche la respirazione orale può creare un terreno di attecchimento facile per il sigmatismo interdentale. Lo stare a bocca aperta, infatti, sollecita la lingua ad avanzare tra gli incisivi.

Quando l’interposizione della lingua tra i denti è presente ancora dopo i 7-8 anni, è possibile che il bambino presenti anche una deglutizione ancora di tipo infantile, cioè il pattern deglutitorio non si è sviluppato in adulto ma è rimasto in un assetto infantile.

Il sigmatismo interdentale viene valutato e preso in carico dal logopedista il quale adotta un insieme di tecniche per far sì che la lingua resti in una postura corretta durante l’articolazione. Il logopedista, inoltre, interviene anche nei casi di presenza di abitudini viziate e/o di deglutizione deviata (o infantile): in questo caso si porteranno avanti due lavori in parallelo ossia quello della correzione del difetto di pronuncia e quello della correzione del pattern deglutitorio.

 

Dott.ssa Logopedista

Chiara Campana

Guardarsi negli occhi: la comunicazione senza le parole.

Guardarsi negli occhi è comunicazione. Guardarsi durante le conversazione, durante il gioco con i nostri figli, durante i dialoghi più banali è, sempre, comunicazione.

L’interesse per il volto umano è un’abilità che nasce nel bambino molto piccolo, dai 7 ai 9 mesi, momento in cui iniziano i primi veri scambi di coppia con gli adulti (soprattutto con la mamma e con il papà). Tale abilità rientra nella “Intersoggettività primaria” che è stata definita come la capacità spontanea, nel normale sviluppo infantile, di riferirsi ad un’altra persona. Queste capacità, infatti, costituiscono proprio le prime abilità di relazione sociale (Schopler, 1985). Teniamo in considerazione che, in realtà, fin dai primi giorni di vita, il neonato è interessato al volto della mamma e il primo contatto dei due sguardi è un momento molto speciale.

Il guardarsi negli occhi è quindi un elemento fondamentale per lo sviluppo del linguaggio e non solo: è importante anche per le relazioni sociali. Il bambino piccolo guarda la mamma e il papà e, piano piano, ne riconosce i volti e inizia ad imitarli. Attraverso lo sguardo, il piccolo capisce che ci stiamo rivolgendo a lui e che vogliamo condividere qualcosa con lui. Piano piano, poi, esso inizierà ad imitare i genitori sia nei gesti che nelle parole e tutto questo passa, per ovvie ragioni, attraverso il contatto oculare.

Il contatto oculare, dunque, costituisce le fondamenta per altre e superiori abilità intersoggettive quali l’attenzione, intenzione e l’emozione congiunta. Quando si diventa via via più grandi si sviluppa l'”Intersoggettività secondaria” (dai 9 ai 18 mesi). Si inizia quindi a guardare insieme nella stessa direzione, a condividere con lo sguardo un oggetto, ad alternare lo sguardo fra la cosa che abbiamo di fronte e la persona che gioca con noi. Si inizia a condividere l’emozione che provoca una determinata situazione e si sviluppa la capacità di percepire cosa gli altri vogliono e di accordarsi oppure no all’intenzione dell’interlocutore.

Ricercare lo sguardo dei propri cuccioli, soprattutto nelle prime fasi della vita, risulta fondamentale. Quando parliamo con loro, quando cantiamo delle canzoncine, delle filastrocche o quando giochiamo, ricordiamoci sempre di guardarli e di porci al loro stesso livello. Anche durante i momenti più quotidiani della vita, come ad esempio il cambio del pannolino, rendiamo partecipe il piccolo di ciò che sta succedendo: raccontiamogli cosa stiamo facendo, sorridiamogli e guardiamolo negli occhi.

Gli occhi, infatti, sono una fonte di emozione e, attraverso essi, noi comunichiamo, sempre e comunque!

La nostra comunicazione non è solo verbale, non passa solo attraverso le parole ma anche attraverso i gesti, la postura del corpo e, appunto, attraverso lo sguardo. Mettere insieme tutti gli elementi comunicativi, sia verbali che non verbali, aiuta il bambino ad essere coinvolto attivamente nella comunicazione e a sviluppare in modo armonico il linguaggio nella sua totalità.

Logopedista

Dott.ssa Chiara Campana

“A cosa giochiamo?” Piccoli spunti per giocare con il nostro bambino

L’autrice Emma Baumgartner, nel suo volume “Il gioco del bambini”, dice: “A casa, a scuola, ai giardini, nei negozi, dovunque si trovino e non appena è possibile, i bambini giocano sia da soli che tra di loro o con gli adulti: il gioco non è soltanto un modo per conoscere il mondo ma è anche una forma di comunicazione, di esperienza emotiva, di azione trasformativa sulla realtà“.

Come si può ben capire, il gioco è un’attività fondamentale per i nostri bambini, a tutte le età: ogni bambino deve avere il diritto di giocare perchè il gioco non è solo divertimento, come erroneamente si può pensare, ma è anche, e soprattutto, un’attività che stimola tutte le cosiddette “funzioni cognitive”. Il gioco stimola l’attenzione, la memoria, la fantasia, le funzioni esecutive, la relazione, le capacità motorie sia grossolane che fini e anche le capacità linguistiche.

Non di rado il nostro bambino ci domanda :”A che gioco giochiamo?” e noi adulti, spesso e volentieri, restiamo quasi “storditi” da questa banale domanda. Per mancanza di tempo e di voglia, siamo infatti portati, in molti casi, ad accendere la televisione, il computer, il tablet oppure il cellulare, strumenti contenenti, effettivamente, una quantità anche infinita di giochi. Ma siamo davvero sicuri che quelli siano i giochi giusti? Quelli che davvero desiderebbe il nostro bambino? Siamo certi che tutti quei colori brillanti e quei personaggi accattivanti giovino al bambino o sarebbe meglio se giocassimo faccia a faccia, con cose concrete e persone reali?

La tecnologia attrae in maniera incredibile, sia i grandi che i piccolini, ed esercita un grande potere su di noi. Tuttavia, per un pò, si potrebbe mettere da parte il cellulare per lasciare spazio alla fantasia, a giochi che stimolano davvero tutti i sensi e che siano una modalità di interazione vera e propria.

Ci sono tantissimi giochi interessanti, molto semplici e altrettanto banali da fare con i nostri cuccioli. Le costruzioni, ad esempio, sono un gioco perfetto per tutti i bambini, a partire dai più piccini perchè stimolano l’attenzione e tutte le funzioni esecutive (pianificazione, risoluzione dei problemi, etc) ed anche le funzioni motorie. Gli incastri e i puzzle per i più grandi rappresentano una modalità ludica eccezionale, per l’attenzione sostenuta e per le funzioni esecutive. Sono molto interessanti anche i giochi di categorizzazione per imparare a distinguere le categorie semantiche come: vestiti, frutta e verdura, cose della casa e del giardino, etc.

Man mano che si diventa grandi si creano poi delle situazioni “di fantasia” usando giocattoli semplici ma efficaci come: i pentolini, la frutta e la verdura di plastica, le bambole o le macchinine.

Ricordiamoci sempre che il parlare durante il gioco è una delle cose più importanti: aiuta a sviluppare il linguaggio e il pensiero!

Il gioco non ha età e, come diceva Pablo Neruda, “Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé.”

 

Lo sviluppo del linguaggio: tappe principali

Le numerose ricerche circa lo sviluppo linguistico hanno concluso che le tappe più importanti che caratterizzano i primi stadi dello sviluppo di ogni lingua sono 3: la comunicazione intenzionale, lo sviluppo lessicale e lo sviluppo della grammatica.

Esistono delle tappe che si possono definire “universali”, che sembrano essere presenti in tutti i bambini, indipendentamente dalla lingua parlata. Vediamole di seguito.

2-10 mesi (circa): Compare la lallazione, cioè un insieme di suoni e di sillabe che il bimbo pronuncia in modo ancora casuale. Compaiono quindi i primi suoni, quelli più semplici da articolare, che sono “b”, “p”, “m”, etc. Esistono 3 tipi di lallazione, variabile a seconda dell’età e della complessità dei suoni pronunciati. La presenza della lallazione è fondamentale per un armonico sviluppo del linguaggio.

8-13 mesi (circa): Inizio della comunicazione intenzionale attraverso tutta una serie di gesti detti “deittici” come: il mostrare, il dare, l’indicare. Tali gesti, tavolta accompagnati da vocalizzazioni, rappresentano i precursori delle prime paroline. Compare, a questa età, anche qualche segno sistematico di comprensione di parole.

12-13 mesi (circa): Compare la denominazione, quindi il bambino inizia a dire le prime parole dotate di significato.

12-16 mesi (circa): Il bambino, piano piano, acquisisce le prime parole e inizia a padroneggiarle.

18 mesi (circa): Fase dell’esplosione lessicale, in cui il bambino arricchisce, nel giro di poco tempo, il suo vocabolario.

18-24 mesi (circa): Inizio della fase combinatoria, dove il bambino comincia a combinare due paroline insieme. In genere questo avviene se il vocabolario è di almeno 100 parole.

2 anni (circa): Comincia lo sviluppo della grammatica, quindi il bambino inizia a combinare le parole e a strutturare le prime frasi.

3 anni (circa): Il bambino, in condizioni normali, dovrebbe aver acquisito un linguaggio come quello dell’adulto. Non preccupiamoci se ancora non possiede tutte le “letterine”. Alcune, infatti, come la /r/ si possono acquisire anche in epoche successive. Inoltre, lo sviluppo del linguaggio non termina a 3 anni, ma continua anche nelle epoche successive, con l’acquisizione, ad esempio, delle regole grammaticali.

L’inquadramento effettuato ha come obiettivo principale quello di illustrare, in maniera chiara ed estremamente generale le tappe principali di acquisizione del linguaggio. Ho inserito sempre la dicitura “circa” accanto alle età per sottolineare la differenza che può intercorrere da bambino a bambino. Ogni persona è a sè e come tale va concepita, anche dal punto di vista linguistico. Esiste, infatti, una variabilità individuale molto vasta, soprattutto nell’età evolutiva.

Bibliografia

Sabbadini G., “Manuale di neuropsicologia dell’età evolutiva”, Zanichelli Editore, 2011.

 

Perchè i bambini urlano? Inquadramento dei disturbi vocali dell’infanzia

I bambini di oggi sono più esposti, rispetto agli adulti, al rischio di disfonia. La disfonia è sempre un sintomo di alterazione della voce che può essere qualitativa e/o quantitativa. La disfonia può anche essere accompagnata da una modificazione strutturale e/o funzionale degli organi coinvolti nell’emissione vocale. Cosa significa nel concreto? Se la voce viene usata troppo e/o male si possono creare anche delle modificazioni a carico degli organi stessi che producono la voce, ad esempio, possono insorgere edemi o noduli cordali. In particolare, questo tipo di disfonia viene definita “disfunzionale” proprio perchè deriva da un cattivo uso della voce.

I bambini trascorrono gran parte delle loro giornate in ambienti piuttosto rumorosi: si pensi alla scuola, ai parchi, alle palestre e, in generale, a tutti i luoghi di ritrovo. All’interno di questi spazi, il bambino sente l’esigenza di gridare per farsi capire. Il fatto stesso di urlare e le condizioni emotive stressanti possono essere fattori predisponenti all’insorgenza di disfonie.

Il bambino è, dal punto di vista fisiologico, egocentrico e ha bisogno di essere ascoltato proprio in quel momento. L’esigenza di dire qualcosa è sempre impellente e il bisogno di ascolto non può essere procrastinato. Proprio per tali motivi tende ad alzare la voce per sovrastare quella dei compagni in modo da attirare, talvolta, anche l’attenzione degli adulti presenti.

Come affermano Franco Fussi e Marco Gilardone, autori del volume “Clinica della voce”, “i bambini urlano per ritagliarsi a forza il loro spazio vocale” sia in ambiente scolastico e ludico sia, come conseguenza, nell’ambito domestico, con lo scopo di attirare l’attenzione degli insegnanti e dei genitori che a loro è mancata per tante ore durate la giornata.

Al giorno d’oggi, i bambini sono spesso estremamente impegnanti e tavolta sovraccaricati. Resta quindi poco spazio per il gioco libero. Sarebbe di estrema importanza, invece, che si ritagliassero dei momenti di gioco, soprattutto spontaeo che è di vitale importanza durante l’età evolutiva. Questo tipo di gioco rappresenta infatti una valvola di sfogo per tutte le emozioni negative che si accumulano durante la giornata.

Dietro ad una disfonia infantile, quindi, si celano moltissime motivazioni: in primis ci sono sicuramente gli abusi vocali protratti durante molte ore della giornata, ma anche un mondo di disagio che spesso gli adulti non vedono. Come affermano gli stessi autori citati prima, i bambini che hanno una forte tendenza ad urlare e quindi ad essere maggiormente esposti ad un disturbo alla voce “non sono ammalati di urla ma di mancanza di ascolto“.

Parlare, in modo pacato e biunovoco, ed ascoltare sono quindi le due parole chiave, sono concetti estremamente semplici che possono, però, prevenire l’insorgenza dei disturbi vocali nell’età evolutiva.

Bibliografia

Franco Fussi e Marco Gilardone, “Clinica della voce”, Ed. Cortina Torino, 2009.

La disfagia: conoscerla e intercettarla.

Molto frequentemente, quando ci rechiamo dal medico, ci vengono consegnati referti o parliamo con gli operatori sanitari facciamo fatica a capire bene il significato dei termini che ci vengono riferiti o che vengono scritti. Una parola attualmente molto in uso ma ancora poco conosciuta è, appunto, “disfagia”. Questo termine viene spesso utilizzato da medici otorini, foniatri, fisiatri e neurologi o da operatori sanitari come logopedisti, fisioterapisti e infermieri.

Prima di dare una definizione di tale concetto, bisogna effettuare un piccolo riferimento ad un altro termine che è “deglutizione”. La deglutizione è stata definita da Oskar Schindler come “l’abilità di convogliare sostanze solide, liquide, gassose o miste dall’esterno allo stomaco. Le sostanze possono sia fisiologicamente che patologicamente avere direzione dall’esterno allo stomaco o dallo stomaco verso l’esterno con percorsi parziali o completi o arrestarsi in determinati punti del transito”.  La deglutizione comprende una fase orale volontaria, quindi sotto il controllo della nostra coscienza e due fasi riflesse, non dipendenti dalla nostra volonatà, che sono la fase faringea ed esofagea. Attraverso l’atto deglutitorio e le sue fasi, quindi, noi riusciamo a bere, a mangiare, ad assumere farmaci e, ovviamente, a deglutire la saliva.

La disfagia, invece, viene definita come una “difficoltà nella deglutizione”. Ma come si manifesta? Come una incapacità nel preparare il bolo alimentare e/o a farlo procedere in sicurezza dalla bocca allo stomaco. Di conseguenza, quando siamo di fronte ad un quadro di disfagia, sussiste una difficoltà o un’impossibilità ad attuare una alimentazione orale autonoma e sicura.
La disfagia è presente nel 20% della popolazione dopo i 50 anni (in questo caso si parla di presbifagia), nel 50-90% dei pazienti con morbo di Parkinsn e chiaramente aumenta nelle persone con patologie neurologiche o che hanno subito interventi nel distretto testa-collo.

Va sottolienato che la disfagia non è una malattia ma è sempre un sintomo di una patologia presente! Cosa significa? Per spiegare meglio facciamo un esempio. Se una persona ha subito un intervento alla bocca, quasi sicuramente avrà una difficoltà a livello deglutitorio e quindi presenterà disfagia. Se un paziente ha il morbo di Parkinson ed ha disfagia significa che è il Parkinson ad aver causato la difficoltà di deglutizione, poichè, appunto, la disfagia non è mai da considerarsi come una patologia ma è la conseguenza di una malattia già presente o che si sta manifestando.

La disfagia, inoltre, se non identificata e trattata in modo adeguato da un insieme di figure professionali, può portare a delle conseguenze anche molto gravi quali:

  • malnutrizione,
  • disidratazione,
  • insorgenza di polmonite ab ingestis (patologia molto grave a livello polmonare che si instaura quando cibi e liquidi non seguono la giusta via fino allo stomaco ma arrivano nei polmoni).

Tutto ciò, poi, porta ad una diminuzione della qualità della vita.

E’ fondamentale, quindi, che tutti sappiano che cos’è la disfagia, in modo tale da conoscerla e poterla intercettare perchè si tratta, molto frequentemente, di un sintomo trattabile con un intervento logopedico mirato e personalizzato.

Logopedia,prematurità e allattamento

Da qualche anno è nata una nuova branca della logopedia che si occupa della fascia d’età neonatale e che prende in carico tutte quelle problematiche correlate alla suzione e all’alimentazione per bocca in neonati prematuri o con patologie di diverso genere.

La nascita si definisce prematura o pretermine qualora avvenga prima delle 37 settimane di età gestazionale. Si tratta, attualmente, di un evento relativamente frequente pari al 6,9%, come viene definito nel Manifesto dei diritti del Bambino Nato Prematuro. Il nato prima del termine non sempre possiede i requisiti per una corretta e sicura alimentazione per bocca, per questo motivo, di solito, prima delle 32 settimane di età gestazionale, il neonato viene nutrito con l’uso del sondino naso-gastrico (strumento che dal naso passa direttamente allo stomaco per via interna e che permette di far fluire, senza il transito dalla bocca, liquidi nutritivi e farmaci). Gradualmente, il neonato svilupperà tutte le competenze necessarie per alimentarsi da solo (suzione-deglutizione-respirazione) e così, piano piano, si assisterà all’introduzione del seno materno.

Si tenga in considerazione che l’allattamento è da sempre una pratica fondamentale, incoraggiata da tutti i medici e da tutte le associazioni specifiche. Nella Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF svoltasi a Ginevra, nell’anno 1989, dal  titolo “L’allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L’importanza del ruolo dei servizi per la maternità” si definisce l’allattamento al seno come il miglior metodo alimentare per garantire una sana crescita e un sano sviluppo dei neonati. Questo fenomeno esercita un’influenza biologica ed emotiva unica sulla salute sia delle madri che dei bambini.

Nel corso degli anni, si sono definiti numerosi vantaggi che questa pratica porta con sè, non solo per il bambino ma anche per la mamma. Alcuni benefici per il neoanto sono: favorire lo sviluppo fisiologico della bocca e ridurre il rischio di infezioni respiratorie, urinarie, diarrea ed otiti. Alcuni benefici per la mamma sono: aiutare a perdere peso accumulato durante la gravidanza, ridurre il rischio di anemia e ridurre il rischio di alcune forme tumorali del seno, dell’endometrio e dell’ovaio (Ministero della Salute, “Allattare al seno-un investimento per la vita”, 2016).

Proprio per l’importanza che ha l’allattamento si cerca, quando possibile, di intervenire, con delle manovre logopediche assolutamente non invasive, in modo da accelerare il passaggio da nutrizione artificiale con il sondino naso-gastrico a nutrizione naturale, con l’uso del seno materno. Esistono, ad oggi, diversi studi che affermano l’importanza e l’efficacia di queste manovre che vengono definite “Stimolazioni orali” proprio perchè si vanno ad effettuare delle stimolazioni dolci e graduali a livello della bocca del bambino, sia internamente che esternamente. Queste stimolazioni, per altro, essendo molto semplici perchè realizzate con il solo tocco del dito mignolo, possono anche essere insegnate alla mamma, sotto supervisione del logopedista, così che possano essere fatte in maniera continuata durante le giornate.